Il danno da emotrasfusione (o da sangue infetto) è una particolare tipologia di pregiudizio, derivante da responsabilità medica, a causa del quale un soggetto contrae una patologia, mediante trasfusione di sangue infetto o altri emoderivati. Nella genesi della patologia si riconoscono due casi:
- fatto dannoso che colpisce il soggetto che, per una sua patologia congenita, è costretto con periodicità, in tutto l’arco della sua vita, a sottoporsi a emotrasfusioni e ad assumere emoderivati;
- un singolo fatto traumatico; per esempio, l’operazione chirurgica o l’infortunio che rendono necessaria una trasfusione.
Nel primo caso, è complesso individuare il momento concreto in cui il soggetto abbia contratto la patologia ematica, poiché si è sottoposto a più trasfusioni; per tale motivo, la legittimazione passiva andrà riconosciuta nei confronti del Ministero della Salute il quale, secondo quanto previsto dalla Legge 210 del 1992, ha un generico dovere di vigilanza e controllo nella raccolta e distribuzione del sangue. Nel secondo caso, ad essere convenuta in giudizio sarà la struttura sanitaria presso la quale è stato eseguito l’intervento, poiché la somministrazione di sangue infetto è episodio sporadico e, come tale, non sottoposto all’attività di vigilanza del relativo Ministero. È fatta salva di convenire contemporaneamente le due amministrazioni, qualora il paziente lo ritenga opportuno.
La diversità dei casi si riflette anche sul calcolo della prescrizione. Infatti, qualora l’azione sia esercitata nei confronti del Ministero della Salute, si ricade nell’alveo della responsabilità extracontrattuale e l’azione potrà essere proposta nel termine di 5 anni dal sinistro. Se, invece, il paziente o i suoi eredi esercitano l’azione nei confronti dell’ospedale, tornerà ad applicarsi l’ordinario termine decennale, con la conseguenza che la prescrizione si riterrà integrata solo trascorsi dieci anni. Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di avere contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita – o possa essere percepita usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo. Sulla base di tale ricostruzione, la prescrizione dell’azione risarcitoria decorre dal momento in cui il paziente offeso comprende e ricollega, secondo l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche dell’epoca (anche del suo grado di istruzione e informazione), che la sua patologia è stata contratta a seguito di trasfusione.
Se non si conosce la causa del contagio, infatti, la prescrizione non inizia a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile a un terzo, non è idonea a concretizzare il “fatto” che il Codice Civile individua quale esordio della prescrizione.
Per quanto riguarda, infine, la tipologia di danni risarcibili, anche qui è necessaria una precisazione. Infatti, il soggetto leso potrà richiedere l’indennizzo previsto dalla Legge 210 del 1992 e anche il classico danno non patrimoniale di cui all’art. 2043 c.c. L’indennizzo di cui alla Legge 210, dovuto dallo Stato, è riconosciuto a coloro i quali presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali o da epatite contratta a seguito di somministrazioni di derivati del sangue e consiste in un assegno composto da una somma determinata nella misura stabilita dalle tabelle allegate ai testi normativi, cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito e da una somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale. Esso si compone quindi di due quote: una prima quota che rappresenta il vero e proprio indennizzo, e una seconda quota che integra la prima, detta appunto indennità integrativa speciale. Il danno non patrimoniale riguarderà invece, tenuto conto degli insegnamenti della Cassazione in materia, il danno morale (identificabile nel patema d’animo e nella sofferenza psicologica del soggetto leso), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato), dei quali occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento.
Sulla scorta di tale considerazione, Andrea S. e Rossano Z., eredi della madre Antonia F., si rivolgevano al sottoscritto, ai fini della richiesta di risarcimento del danno derivante da trasfusione infetta. Nello specifico, deducevano che la madre, durante un normale intervento di ulcera, veniva sottoposta a 8 trasfusioni di sangue. L’intervento riusciva perfettamente ma, a distanza di pochi mesi, la madre manifestava alcuni sintomi riconducibili alla presenta di Epatite C, che le veniva infatti diagnosticata. L’evento dava inizio a un vero e proprio calvario; la madre si sottoponeva regolarmente a trasfusioni di sangue (a causa del suddetto virus) ma alla fine, viste alcune complicanze ad esso legate, decedeva.
Viste le premesse, si provvedeva a notificare citazione in giudizio nei confronti del Ministero della Salute, poiché le trasfusioni erano divenute regolari nel corso dell’intervento all’ulcera, pertanto tale Amministrazione avrebbe dovuto vigilare sull’integrità del sangue somministrato. Dopo la citazione, si provvedeva a istruire la pratica in Tribunale, a seguito dalle quale il giudice riconosceva l’indennizzo previsto dalla Legge in materia; infatti, la contrazione dell’epatite C era direttamente collegata all’intervento eseguito sulla signora, pertanto nessun altro evento avrebbe potuto determinare l’insorgere del virus.
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