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Rubrica Legale

Cyberbullismo: cos’è e quali ipotesi delittuose integra

 

Il Cyberbullismo è una forma particolare di bullismo, che consiste nel porre in essere comportamenti sociali di tipo violento, di natura fisica e psicologica, nei confronti di persone percepite come soggetti deboli, perpetrata online (con i mezzi di comunicazione cosiddetti social). Tale fenomeno è salito alla ribalta, dopo che i social si sono moltiplicati a dismisura e hanno offerto ai giovani nuove opportunità di relazionarsi, al fine di conoscere gente diversa.

Oggi la tecnologia consente ai bulli di infiltrarsi nelle case delle vittime, di materializzarsi in ogni momento della loro vita, perseguitandole con messaggi, immagini, video offensivi inviati tramite smartphone o pubblicati sui siti web tramite Internet. Il bullismo diventa quindi cyberbullismo. Il cyberbullismo definisce un insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici (sms, mms, foto, video, email, chat rooms, istant messaging, siti web, telefonate), il cui obiettivo e quello di provocare danni ad un coetaneo incapace di difendersi.

Tale comportamento deviante, che risale ai primi anni 2000 e si diffonde a macchia d’olio negli Stati più industrializzati, si manifesta attraverso diverse sfaccettature, ognuna delle quali integra una condotta che può portare ad un’ipotesi di reato:

  1. Minaccia: consistente nel contattare un soggetto e prospettargli un male ingiusto. Tale comportamento, oltre a legittimare la richiesta di risarcimento del danno, integra il reato di cui all’art. 612 del Codice Penale, punito con la multa e la reclusione (nei casi più gravi);
  2. Flaming: consistente nel rivolgere al soggetto debole ripetuti messaggi violenti e volgari, con l’unico obiettivo di dare inizio a battaglie verbali. Tale condotta può integrare, sempre fatto salvo il diritto di richiedere il danno, il reato di cui all’art. 660 del Codice Penale; viene punito chiunque, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o altro disturbo (viene espressamente prevista l’ipotesi a mezzo telefono o social);
  3. Denigrazione, esclusione e cyberesclusione: è il comportamento più diffuso, concretizzato quanto taluno offende la reputazione dell’altro soggetto, utilizzando epiteti ed offese non giustificabili dal contesto in cui è nato il commento e/o il dibattito. Tale condotta può integrare la famosa ipotesi di diffamazione online, ossia una condotta penale che viene punita con la reclusione da sei mesi a tre anni (nell’ipotesi aggravata) e con la multa non inferiore a 516 euro. In tale ultimo caso è possibile agire dal punto di vista civile e la richiesta di risarcimento sarà parametrata agli importi previsti dalle tabelle elaborate dall’Osservatorio sulla Giustizia di Milano, il quale prevede diverse fasce di risarcibilità.

Nel caso concreto, il giovane A.T. si rivolgeva allo studio legale esponendo quanto segue: nel Gennaio 2021 aveva pubblicato online un articolo sul noto social Facebook, facendo riferimento alle misure di sicurezza poste in essere dal Governo italiano per contrastare il diffondersi dell’epidemia Covid e sottolineando l’opportunità di un loro rispetto. Dopo tale pubblicazione, veniva attaccato dal G.M. il quale lo etichettava come persona non informata sui fatti e gli rivolgeva epiteti diffamatori: tale azione proseguiva nei diversi articoli che A.T. pubblicava e nella chat privata. A nulla valevano i tentativi di bloccare l’utente, il quale creava nuovi profili social per portare a termine la diffamazione. A seguito di quanto occorso, si provvedeva a depositare querela, ritenendo sussistenti i reati di minaccia e diffamazione online. Parallelamente, si richiedeva il risarcimento del danno in sede civile, argomentando la gravità dell’offesa e la reiterazione dei commenti denigratori.

A seguito di tali azioni, il PM apriva un fascicolo a carico del soggetto diffamante, il quale verrà rinviato a giudizio per perseguire i reati di cui sopra; mentre, in sede civile, veniva ottenuto il risarcimento del danno, liquidato dal Giudice secondo le tabelle di riferimento.