Il reato di Diffamazione è previsto dall’art. 595 del codice penale e si verifica quando viene offesa o screditata la reputazione di una persona assente e tale comunicazione avvenga nei confronti di più persone.
Affinché si verifichi il reato di diffamazione è quindi sufficiente un dialogo tra più persone in cui viene lesa la reputazione di una terza persona assente e quindi inconsapevole.
Pertanto, la differenza con la condotta dell’ingiuria è rappresentata dal fatto che l’offesa si rivolge ad una persona non presente; non solo assente fisicamente, ma anche non in grado di percepire l’offesa.
Il reato può svolgersi anche in momenti e conversazioni differenti, purché tratti argomenti specifici.
Quando le critiche si traducono in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato il requisito di continenza non può mai essere soddisfatto, poiché le notizie diffuse non sono pertinenti; non esiste cioè un interesse pubblico oggettivamente apprezzabile alla loro pubblicazione. In questo caso le critiche ricevute non possono trovare giustificazione nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, di critica o di satira.
La Cassazione ha più volte ribadito come la condotta sopra descritta sia configurabile anche a mezzo internet e, in aggiunta, se viene commessa con i mezzi di comunicazione social viene integrata l’aggravante dei mezzi di comunicazione, ma che non si applicano le sanzioni aggiuntive in materia del mezzo stampa.
Molto spesso vi è una sottile linea tra critica e diffamazione: la critica si caratterizza per la verità e l’attualità dei fatti criticati, e deve essere di pubblico interesse.
Il reato di diffamazione è generico ed abbraccia pluralità di condotte nuove ed in evoluzione, così come sono sempre in evoluzione i social network ed il loro uso.
Il risarcimento del danno, nella voce del danno morale, andrà parametrato tenendo conto delle risultanze delle cosiddette Tabelle di Milano, le quali teorizzano diverse fasce di gravità, ognuna caratterizzata da condotte via via più gravi.
Il reato di diffamazione è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino a 1.032 Euro; la condotta aggravata (e dunque tramite l’utilizzo delle piattaforme social) prevede un aumento della reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa non inferiore a 516 euro.
Nel caso di specie, il Sig. Alberto, noto giornalista di cronaca particolarmente attivo sui social, si rivolgeva al nostro studio legale, adducendo di essere stato diffamato a mezzo social; infatti, pubblicava una foto privata, del tutto slegata dalla sua attività professionale, ma veniva comunque additato come giornalista di poco conto e offeso gratuitamente. Pertanto, dopo la necessaria messa in mora, si provvedeva ad agire in giudizio per richiedere il risarcimento del danno, il quale veniva liquidato equitativamente dal giudice, tenuto conto dell’importante ruolo svolto dall’offeso e del fatto che l’offesa fosse del tutto avulsa dal contesto nel quale veniva pubblicata la foto.