I tombini sono i peggior nemici degli automobilisti e soprattutto dei pedoni. Infatti, molto spesso i tombini presentano difformità o dislivelli rispetto al manto stradale che comportano la caduta dei passanti con notevoli conseguenze e anche lesioni fisiche.
La settimana scorsa il Tribunale di Teramo con sentenza n. 524/2021 ha affrontato la vecchia questione della responsabilità degli enti gestori delle strade (tra cui i Comuni) per i danni da cose in custodia.
Il caso affrontato dal Tribunale riguarda una richiesta di risarcimento danni proposta da una donna caduta a causa di un tombino scoperchiato nella pubblica via.
La donna ha citato in giudizio il Comune di Giulianova poiché una notte, percorrendo a piedi una via di Giulianova-paese, precipitava all’interno di un tombino fognario, privo di coperchio.
L’insidia non era visibile, infatti non era stata in alcun modo segnalata né tantomeno provvista di protezione.
In tal caso, viene da domandarsi se la responsabilità è certamente addebitale al Comune o Ente proprietario della strada per la mancata manutenzione? E Quale onere probatorio cade sul pedone danneggiato?
Da giurisprudenza costante, è ormai noto che va esclusa la responsabilità dell’ente custode allorché i danni conseguenti ad una caduta siano ascrivibili unicamente al danneggiato (esempio ottima visibilità, avvallamento leggero, non idoneo ad arrecare alcun nocumento, distrazione del pedone). Va altresì escluso il risarcimento per danni quando venga accertata la mancanza di un nesso di causalità tra la presenza del tombino e dell’avvallamento e la caduta del soggetto danneggiato. E ancora quando l’evento sia imputabile al caso fortuito, inteso quale fattore idoneo ad interrompere il rapporto eziologico e comprensivo del fatto del terzo e del danneggiato medesimo.
Pertanto, con specifico riferimento all’onere probatorio, cadrà sul pedone danneggiato la prova del nesso eziologico fra la cosa custodita ed il danno, che non può, tuttavia, risolversi nella mera dimostrazione dell’esistenza del danno stesso.
Sebbene il danneggiato sia tenuto alla dimostrazione dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, su quest’ultimo non grava la prova della condotta omissiva o commissiva del custode.
Infatti, in ragione dell’inversione dell’onere probatorio che caratterizza la disciplina della responsabilità per i danni da cosa in custodia (ex art. 2051 c.c.), è il Comune o l’Ente proprietario a provare di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire il pericolo occulto della cosa detenuta e, dunque, anche a valutare la sua prevedibilità e visibilità rispetto alle concrete condizioni in cui si verifica l’evento.
Nella vicenda narrata, il Tribunale di Teramo ha riscontrato che la condotta della donna/danneggiata non era stata incauta ovvero non improntata a quei canoni di accortezza e cautela richiesti nell’utilizzo del suolo pubblico.
Inoltre, il Giudice ha accertato come il Comune di Giulianova non avesse, in alcun modo, dedotto e provato un caso fortuito idoneo a interrompere il nesso causale. Invero, la circostanza che il tombino fosse stato scoperchiato dalla pioggia torrenziale non poteva integrare gli estremi del caso fortuito. Bensì, la frequenza con la quale si è ripetuta nel tempo la circostanza, è stata dimostrazione di un cattivo stato di manutenzione della strada senz’altro imputabile al Comune di Giulianova.
Pertanto, il pedone che percorrendo la via pubblica cade in un tombino lasciato aperto e senza alcuna segnalazione o protezione non può essere accusato di aver tenuto un comportamento incauto o poco attento. Tale condotta, quindi, non può escludere la responsabilità del Comune, sul quale incombe l’obbligo di custodia e manutenzione del tombino, salvo il caso fortuito.