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Rubrica Legale

Telecamere di videosorveglianza abusive: spetta il risarcimento?

È sempre più frequente che nel vicinato vengano istallate telecamere per proteggersi dalla pericolosità sociale, che versa in certe zone della città.

Difatti, per tutelarsi da furti, aggressioni o intromissioni, è possibile installare sistemi di videocamere di sorveglianza, tanto sulla proprietà privata quanto in edificio condominiale per il controllo delle parti comuni.

E proprio per questo devono essere osservate alcune disposizioni contenute nel Codice della Privacy, che detta norme specifiche in materia, come quella che impone di segnalare, con appositi cartelli, la presenza di telecamere collegate con le sale operative delle forze di polizia.

I criteri da seguire per l’installazione di telecamere sono contenuti già dall’anno 2020 in un “decalogo delle regole per non violare la privacy” emesso dal Garante per la Privacy, cui la giurisprudenza si è generalmente uniformata.

Tuttavia, vi è un principio generale di esclusione dall’applicazione della predetta disciplina relativa agli “impianti di videosorveglianza finalizzati esclusivamente alla sicurezza individuale” (es., il controllo dell’accesso alla propria abitazione). È necessario però che le riprese siano strettamente limitate allo spazio antistante tali accessi, senza forme di videosorveglianza su aree circostanti e senza limitazioni delle libertà altrui.

Affinché vi sia lesione della privacy altrui, infatti, occorre che siano violate le disposizioni ex artt. 614 e 615 bis Codice Penale. A conferma di ciò, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha escluso una violazione della privacy quando le telecamere non riprendano l’abitazione privata altrui né spazi pertinenziali ad essa, non essendo il pianerottolo in senso ampio o le scale tutelate dalla fattispecie contenute nel codice.

Invero, il Codice Penale tutela quelle aree che, secondo la Cassazione, “individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza”, quali l’abitazione privata altrui, il giardino di pertinenza, gli spazi di appartenenza come la parte di pianerottolo condominiale attigua al portone d’ingresso altrui, le finestre altrui.

Alcune pronunce, infatti, hanno condannato alla rimozione delle telecamere e al risarcimento del danno coloro i quali avevano installato sistemi di videosorveglianza che potenzialmente avrebbero comunque potuto riprendere spazi privati.

Di recente, anche il Tribunale di Palermo ha ritenuto che la telecamera è abusiva quando non si limita a riprendere la proprietà del titolare dell’impianto di videosorveglianza per difenderla dai malintenzionati, ma si spinge anche sulle proprietà dei vicini, fino ad eseguire una sorta di controllo indiretto sulla vita altrui.

In tali casi, il trasgressore può essere certamente sanzionato con un ordine di rimozione dell’impianto, ma non anche condannato al risarcimento del danno.

Infatti, con specifico riguardo alla richiesta di risarcimento danni, nel nostro ordinamento, vige il principio secondo cui i danni morali possono essere richiesti solo se c’è un illecito che integra un reato o viola i diritti costituzionali altrui e, nello stesso tempo, provoca una lesione apprezzabile. Il danno deve essere dimostrabile: se anche non possa dunque essere quantificato nella sua precisa entità, non può essere solo presunto.

Pertanto, non vi è danno se si lamenta un mero stato di ansia e di stress nell’essere eventualmente ripresi e per non essere a conoscenza delle finalità del trattamento e dell’utilizzo dei dati acquisiti. Non si può cioè ritenere insito il danno nel fatto stesso dell’illecito.