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Rubrica Legale

Responsabilità medica e pluralità di parti: le regole da seguire per ottenere il risarcimento del danno

Il processo volto alla richiesta del risarcimento del danno in campo medico, disciplinato dalla Legge Gelli – Bianco, si caratterizza per il fatto di prevedere più parti, sia dal lato attivo che dal lato passivo.

Dal lato attivo, qualora il soggetto che ha subito l’intervento medico sia deceduto a causa di un errore o omissione, spetterà ai suoi eredi agire in giudizio per il risarcimento del danno. In questo caso, la giurisprudenza effettua una divisione in due categorie:

  1. Successione degli eredi nel risarcimento in caso di decesso del parente congiunto (risarcimento “iure hereditas”). Per risarcibilità dei danni iure hereditatis si intende la capacità di succedere di diritto nel risarcimento spettante alla vittima deceduta per una causa addebitabile alla malpractice sanitaria. Occorrerà in questo senso seguire le norme dell’ordinamento sulla successione, per cui i primi cui spetterà il diritto al risarcimento del danno patito dalla vittima per effetto dell’eredità saranno il coniuge e i figli. In mancanza di questi occorrerà seguire le norme previste dall’ordinamento per la successione legittima, e più precisamente negli articoli 565 ss. c.c;
  2. Risarcimento del danno “iure proprio”. Oltre ai danni che, essendosi verificati nella sfera del congiunto, spettano agli eredi in virtù delle norme successorie, vi sono anche i c.d. “danni riflessi”. Con questa categoria si fa riferimento a quei danni che, seppur sorti per effetto di un evento che ha coinvolto il paziente vittima della malasanità, si producono “di riflesso” nella sfera giuridica delle cc.dd. vittime secondarie. Queste acquistano così il diritto al risarcimento al relativo giudizio subito sulla propria persona e che va ad aggiungersi (e non si sostituisce) al risarcimento spettante invece iure hereditatis. Tale diritto compete in primo luogo alla famiglia legittima e, secondo quanto ricostruito dalla Corte di Cassazione, anche al convivente more uxorio.

Dal lato passivo, i ricorrenti hanno la possibilità di richiedere il danno a tre diversi interlocutori:

  1. La struttura sanitaria che ha avuto in cura il paziente. Trattasi del legittimato passivo principale, poiché è contrattualmente responsabile nei confronti del ricoverato, anche nel caso in cui l’intervento non riesca;
  2. La compagnia assicurativa. L’art. 10 della Legge Gelli – Bianco prevede l’obbligo per le strutture sanitarie di dotarsi di idonea copertura assicurativa (o misure analoghe) per quanto riguarda i casi di responsabilità civile. Pertanto, i ricorrenti provvederanno a citare in giudizio la casa di cura e la compagnia assicurativa la quale, in mancanza, verrà chiamata in causa dalla stessa struttura sanitaria;
  3. Il medico che ha eseguito l’operazione. Trattasi dell’ultimo legittimato passivo previsto dalla normativa.

La legge si occupa di definire anche le condizioni e i presupposti in base ai quali la struttura sanitaria, in caso di soccombenza in giudizio, abbia la facoltà di agire in regresso nei confronti del medico che ha eseguito l’intervento. Infatti, si precisa che tale azione possa essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave del medico, con tutte le oscillazioni giurisprudenziali che ne derivano.

Inoltre la Corte di Cassazione, con ordinanza del 2019, ha affermato che  l’azione svolta da una struttura sanitaria – convenuta in giudizio da un paziente, che ritiene di aver subito dei danni a causa di un non corretto intervento chirurgico eseguito presso la struttura stessa – nei confronti del medico che ha eseguito l’intervento e finalizzata a far accertare la esclusiva responsabilità del medico stesso nella causazione dei danni lamentati dal paziente e pertanto la sua condanna a tenere indenne la struttura sanitaria di quanto questa sia eventualmente condannata a pagare (al paziente), è un’azione di garanzia impropria.

La disciplina dell’onere probatorio relativamente a tale tipologia di azione, detta di regresso, impone all’attore di dimostrare che la responsabilità nella causazione dei danni sia imputabile tutta (o in parte) al soggetto convenuto con l’azione di regresso.

Conseguentemente, è erroneo richiedere al convenuto di provare che la causa dei danni sia imputabile all’attore che agisce in regresso.

Da ultimo, occorre riferire che l’atto transattivo della controversia, firmato da solo alcuni dei legittimati passivi, potrebbe avere efficacia anche nei confronti degli altri legittimati, con rinuncia del ricorrente ad ogni azione: ciò avviene nel caso in cui l’atto transattivo riporti la dicitura secondo la quale le parti dichiarano di rinunciare “ad ogni e qualsiasi azione verso chiunque ed in qualsiasi sede”. È quanto affermato dal Tribunale di Bari con sentenza del 2016.