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Rubrica Legale

Consulenza tecnica preventiva e ruolo del CTU: la conciliazione

La consulenza tecnica preventiva di cui all’art 696 bis c.p.c. si distingue dal semplice procedimento di accertamento tecnico perché il consulente tecnico nominato dal giudice, per rispondere ai quesiti può, al termine del triplice termine, tentare la conciliazione tra le parti.

Più nello specifico, i poteri del CTU sono i seguenti.

1. Compimento delle indagini affidate dal giudice.

Il consulente tecnico deve, avvalendosi delle sue cognizioni specialistiche, rispondere ai quesiti proposti dalle parti e rielaborati dal giudice. A tal proposito, gli viene assegnato un triplice termine:

  • Il primo, entro il quale deve depositare la perizia provvisoria;
  • Il secondo, entro il quale deve dare risposta alle osservazioni delle parti;
  • Il terzo, entro il quale deve depositare la suddetta documentazione in Tribunale.

2. Domandare chiarimenti alle parti ed assumere informazioni da terzi.

Nonostante la norma preveda la “previa autorizzazione del giudice”, la giurisprudenza ritiene utilizzabili tanto i chiarimenti quanto le informazioni ottenute dalle parti e dai terzi in assenza di autorizzazione. Quanto al valore delle informazioni ottenute dalle parti e dai terzi, si afferma che in quanto ausiliario del giudice, il consulente tecnico d’ufficio ha la qualità di pubblico ufficiale e l’atto dallo stesso redatto, il quale attesta che a lui sono state rese le succitate informazioni, fa fede fino a querela di falso. La Cassazione suole ritenere che rientri nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni che formano oggetto dei suoi accertamenti, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli. In buona sostanza, il CTU (anche in mancanza di espressa autorizzazione del giudice) può assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli.

3. Esaminare atti e documenti di causa.

È buona norma che il consulente tecnico, prima di procedere alle operazioni peritali, esamini la documentazione prodotta dalle parti nel corso dell’introduzione del giudizio (ci si riferisce, in particolare, al ricorso depositato dall’attore e alla conseguente comparsa di costituzione e risposta depositata dal convenuto) che consiste in:

  • Atti del giudizio (vedi sopra);
  • Verbali di causa
  • Documenti ritualmente prodotti entro i termini indicati dalla legge.

4. Avvalersi di collaboratori.

Il punto è assai problematico. L’esperienza insegna che non di rado il consulente si avvale di un collaboratore, scelto da lui stesso. Si tratta di una prassi in certi casi assai critica, poiché il collaboratore spesso non è iscritto al corrispondente albo del consulente e ogni operazione che svolge avviene in mancanza del necessario contraddittorio tra le parti. Al contrario, la S.C., come accennato, afferma che il CTU è libero di avvalersi di un collaboratore anche senza l’autorizzazione espressa del giudice. In particolare la Cassazione ha più volte affermato che non dà luogo a violazione dell’art. 194 c.p.c., né conseguentemente a nullità della consulenza, il fatto che il consulente tecnico d’ufficio si sia rivolto, per particolari ricerche ed indagini, ad altri esperti o istituti specializzati, operanti in assenza dei consulenti di parte.

5. Il potere di conciliare la controversia.

Uno dei profili che caratterizzano l’istituto in parola riguarda l’attribuzione al consulente del potere di tentare la conciliazione fra le parti, in un’ottica deflattiva del processo di merito. In questo modo l’istituto acquisisce una duplice funzione: da un lato, quella probatoria e, dall’altro lato, quella conciliativa. In considerazione di ciò, la relazione che sarà redatta dal consulente tecnico potrà essere utilizzata nel successivo giudizio di come prova, mentre nel caso in cui il consulente riesca nella conciliazione, l’istituto avrà permesso la definizione anticipata della lite senza dover introdurre un giudizio di merito. Nel caso in cui la procedura conciliativa abbia esito positivo, l’accordo raggiunto dalle parti viene inserito all’interno del processo verbale del procedimento, al quale viene attribuito dal giudice – con proprio decreto – efficacia di titolo esecutivo, che costituirà pertanto titolo per ogni specie d’esecuzione forzata nonché per l’iscrizione di ipoteche giudiziali e godrà dell’esenzione dall’imposta di registro.

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