Qualora l’attore voglia intentare una causa per ottenere il risarcimento derivante da errore medico, diviene importante la distinzione tra danno iure proprio e danno iure hereditatis (anche detto iure successionis). Da premettere che, in origine, il soggetto che agisce in giudizio può richiedere sia il danno patrimoniale che il danno non patrimoniale. Nel primo caso dovrà dimostrare che l’errore medico lo abbia costretto a sostenere spese mediche e/o connesse al sinistro. Ad esempio, qualsiasi spesa inerente alla terapia medica che si sia resa necessaria a causa dell’intervento potrà essere richiesta a titolo di danno patrimoniale (nella voce di danno emergente). Nel secondo caso, il danno non sarà puntualmente dimostrabile, pertanto la dottrina e la giurisprudenza hanno codificato la suddivisone di cui in premessa.
Tale differenza diviene più marcata nel caso in cui, a seguito dell’intervento medico errato, il paziente dovesse perdere la vita. In tali evenienze, il legislatore ammette che il ricorrente possa chiedere sia il danno personalmente patito, che quello subito dalla vittima. Tale possibilità è stata definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione a partire dal 2017. La distinzione non è di poco conto, sol che si considerino le varie tipologie di danno che possono essere richieste.
Premesso che le suddivisioni del danno in categorie interne possono essere richieste purchè adeguatamente motivate e ciò non si traduca in un illecito sdoppiamento del danno richiesto (indebito arricchimento), nel primo caso l’attore dovrà dimostrare che l’evento morte gli ha provocato un rilevante danno morale. Questo è difficilmente quantificabile, poiché ancorato alla misura della sofferenza interna patita dal parente superstite a livello psicologico, pertanto andrà liquidato dal giudice in via equitativa ancorandosi, per quanto possibile, alle note Tabelle di Roma e Milano; esse non sono altro che un insieme di dati e valutazioni mediche che suddividono il danno patito in scaglioni e percentuali, utili alla concreta quantificazione. Nell’ambito di tale determinazione, un ruolo rilevante sarà assunto anche da parametri estranei a quelli medici come, a titolo esemplificativo, il grado di parentela con la vittima e la convivenza o meno con quest’ultima. Pertanto, il danno andrà maggiorato nel caso in cui il richiedente sia uno stretto parente o convivente della vittima, poiché l’alterazione dell’equilibrio psicologico dovuto alla perdita sarà maggiormente apprezzabile dal giudice. Questi e altri elementi potranno essere posti alla base della cosiddetta personalizzazione del danno, ossia la quantificazione di esso più congrua alle circostanze concrete che hanno causato la morte del soggetto. Lo stesso dicasi per il danno esistenziale, che andrà risarcito nella misura in cui il soggetto provi che la perdita del parente abbia determinato una rilevante e non transitoria alterazione delle abitudini di vita.
Il danno iure hereditatis, invece, presuppone un apprezzabile lasso di tempo tra il verificarsi del sinistro e il conseguente decesso. Nell’ambito di tale intervallo temporale il soggetto deve aver patito una “lucida agonia”, nel senso che il danno biologico deve correttamente concretizzarsi nella sua sfera giuridica. Pertanto, qualora il decesso consegua quasi immediatamente al sinistro, il paziente non maturerà nella sua sfera giuridica un diritto risarcibile a titolo di danno biologico, con la conseguenza che i suoi eredi potranno chiedere solo il danno iure proprio, nelle voci precisate. In conclusione, l’intervallo di tempo è utile a far maturare il diritto; se la morte consegue immediatamente, l’errore medico si traduce in un vulnus al diritto alla vita, certamente non trasmissibile agli eredi, poiché strettamente personale e destinato a sparire con la morte del soggetto. Come a dire, nel momento in cui matura il diritto, il soggetto non c’è più, pertanto non può trasmetterlo.
Nel caso concreto, i soggetti Andrea T., Piero T. e Monica G. si rivolgevano allo scrivente, chiedendo il risarcimento dei danni, conseguenti all’intervento medico errato eseguito su Fabio T.; essi erano, rispettivamente, figli e moglie del paziente deceduto. Obiettavano inoltre che l’intervento sbagliato avesse causato un grandissimo peggioramento delle condizioni di salute del soggetto, che decedeva appena tre mesi dopo. In tale occasione, pertanto, veniva richiesto sia il danno iure proprio che il danno iure hereditatis: infatti, i soggetti richiedenti erano tutti conviventi con la vittima prima del decesso e, inoltre, il grado di parentale era molto stretto.
Veniva pertanto adito il Tribunale di Pescara, richiedendo le due voci di anno, le quali venivano entrambe riconosciute: la morte del soggetto aveva causato sia un danno morale, conseguente alla sofferenza psicologica dei figli e della moglie, i quali si sono visti privati della figura più importante nell’ambito del nucleo familiare. che un danno biologico giuridicamente trasmissibile agli eredi, posto che erano trascorsi 90 giorni dalla data dell’intervento errato a quella del definitivo decesso; tempo nel quale il soggetto era lucidamente consapevole dell’errato intervento e del fatto che la sua vita si stesse lentamente spegnendo senza più alcuna possibilità di cura.
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