È possibile la tutela dei consumatori attraverso le azioni di classe? L’azione di classe americana è nata circa un secolo prima della nostra, ossia nel 1938. La nostra azione di classe, invece, è entrata in vigore solo nel 2010 e, al giorno d’oggi, risulta essere disciplinata dall’art. 140 bis del Codice del Consumo, a tutela dei diritti individuali omogenei e degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti.
Più precisamente, il Codice del Consumo disciplina due modalità:
- La tipica Class Action, disciplinata dall’articolo 140 del Codice del Consumo, che può essere istaurata solo dalle Associazioni dei Consumatori, regolarmente iscritte ad un elenco, tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico.
- Le azioni di classe che, disciplinate dall’art. 140 bis anzidetto, permettono ai consumatori di ottenere una tutela contro le multinazionali, anche senza l’intervento delle relative associazioni.
Attraverso queste ultime, finalmente, coloro che condividono un medesimo interesse, possono agire unitamente per ottenere il risarcimento del danno e/o le restituzioni. Oggetto della causa deve essere il danno o l’inadempimento nascenti dal contratto tra professionisti e consumatori. Capita spesso che la lesione dell’interesse sia determinata dalle clausole vessatorie, inserite arbitrariamente nei moduli contrattuali.
Per tradizione storica, le azioni di classe americane hanno sempre avuto una grande efficacia e forza giuridica. Ciò, al punto da aver messo in pericolo, talvolta, la stabilità di grandi colossi mondiali, quali la Malboro, Apple, Red Bull, Ferrero, Philip Morris, Chevrolet.
A livello nazionale, l’azione di classe consente ai consumatori di unire le proprie forze economiche per ottenere un risarcimento. Il tutto, quando il danno sia scaturito da prodotti difettosi o pericolosi, oppure da comportamenti commerciali scorretti o contrari alle norme sulla concorrenza. Il vantaggio è che i consumatori, accomunati dalla medesima doglianza, possono riunirsi, per far valere il medesimo diritto o interesse, ripartendosi gli oneri delle spese legali. Per questo tipo di cause, inoltre, Il procedimento è snello (poiché il giudice assume solo le prove che ritiene opportune per la decisione del caso) e consentirà di ottenere una sentenza immediatamente esecutiva, che farà stato anche tra le persone che non abbiano aderito alla relativa azione.
È ormai nota a tutti la vicenda del danno da “gioielli portatili”, nella quale i consumatori si sono uniti per far valere una pratica commerciale scorretta, da tempo intrapresa da Apple. Si tratterebbe della “obsolescenza programmata”, per la quale, negli Usa, i consumatori hanno già ottenuto un maxi rimborso da 500 milioni di dollari. Con tale termine si vuole intendere la “messa fuori uso” dei prodotti vecchi, finalizzata a costringere gli utenti a comprarne di nuovi, ai costi che conosciamo! Per queste ragioni, si vuole chiedere al colosso americano un risarcimento per il cattivo funzionamento degli iPhone, in seguito agli aggiornamenti, i quali sono stati specificatamente pensati solo per supportare i modelli più recenti della nota azienda.
Non a caso, per questa stessa ragione, la Apple è ciò stata sanzionata per 10 milioni di euro dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM). Detta sanzione è stata comminata in quanto i possessori di iPhone 6, 6 Plus, 6s e 6s Plus non erano stati informati del peggioramento delle performance, che sarebbero derivate dagli aggiornamenti iOS 10 e 10.1.2. Infatti, mettendo fuori uso i loro dispositivi, attraverso la pratica degli aggiornamenti, gli imporrebbe di spendere cospicue somme per adeguarsi.
Per tali ragioni lo strumento dell’azione di classe rimane ad oggi una delle più valide possibilità per contrastare comportamenti scorretti delle grandi aziende, che modificheranno le loro pratiche solo in presenza di una richiesta congiunta dell’utenza e, conseguentemente, di un cospicuo risarcimento del danno.